Nr.13 / 15 ottobre 2021

TICINO DOJO JOHO

Notizie e approfondimenti sul JUDO, a cura dell’ATJB

Diversi judoka ticinesi hanno staccato il biglietto per le finali nazionali del prossimo 27-28 novembre, ci siamo interrogati su cosa ci si aspetta oggi - alle nostre latitudini - dagli agonisti. Abbiamo intervistato poi Francesca Vismara nata Caverzasio a dimostrazione del fatto che il judo può essere anche donna.

Mattia Frigerio (autore di quattro romanzi fantasy) ci propone una favola inedita dal titolo "Siate mare: i principi delle difese". Completano il numero la rubrica relativa al codice morale del judoka e una presentazione dei kata del Kodokan.

 

Chi avesse contributi da pubblicare in TICINO DOJO JOHO è invitato a trasmetterli al coordinatore del progetto (e-mail: mbfrigerio@bluewin.ch).


Indice del tredicesimo numero:

  1. Cosa ci si aspetta da un agonista ? - Marco Frigerio
  2. Intervista a Francesca Vismara nata Caverzasio - Marco Frigerio
  3. Siate mare: i principi delle difese  - Mattia Frigerio
  4. Il codice morale del judoka: la modestia - Manrico Frigerio
  5. I kata del Kodokan - Marco Frigerio

COSA CI SI ASPETTA DA UN AGONISTA ?

L'agonista è un judoka che partecipa alle competizioni siano esse di livello regionale, nazionale o internazionale.

È colui che è disposto a combattere mettendosi alla prova e sapendo che, in un torneo di judo, vi è un solo vincitore per categoria: il primo classificato.

Vittoria e sconfitta tuttavia - come ha scritto Jigoro Kano - non sono importanti: sia dopo una vittoria, sia dopo una sconfitta ci si deve infatti interrogare sul seguito. Cosa ho appreso dalla competizione a cui ho partecipato ? Come posso migliorare ancora ? Quali sono i miei obiettivi ?

 

Per essere considerato un agonista di livello regionale è sufficiente partecipare a qualche torneo della zona (campionati ticinesi, tornei individuali, campionati a squadre).

Esprimersi a livello nazionale è certo più impegnativo, richiede una dedizione alla disciplina importante e soprattutto il raggiungimento di un livello di pratica superiore. Partecipare a tornei nazionali significa inoltre dedicare giornate intere, nel fine settimana, al judo. In Svizzera esistono i tornei ranking che - a partire dai quindici anni - costituiscono la premessa per poter accedere alle finali nazionali aperte ai primi sedici di ogni categoria.

Solo chi ha scelto di dedicarsi in modo esclusivo ed intenso alla disciplina potrà infine ambire a divenire un agonista di livello internazionale. Per arrivarci bisognerà ottenere il riconoscimento da parte della Federazione Svizzera (quadri nazionali) e partecipare ad allenamenti e competizioni che trascendono i confini nazionali.

Non sono molti in Ticino gli agonisti che (nel corso degli anni) sono arrivati ad un tale livello o che si sono posti un tale obiettivo. L'impegno deve essere concreto e costante, necessario è approfittare di ogni occasione per allenarsi. Anche la fortuna gioca il suo ruolo: un infortunio al momento sbagliato stronca infatti una carriera.

 

Ma i nostri club cosa si aspettano dagli agonisti ?

Credo che si aspettino innanzitutto di trovare un modello da additare a chi viene dopo.

L'agonista di riferimento di un club costisce infatti automaticamente l'esempio da seguire per chi, crescendo, sceglie il judo.

La presenza dell'agonista di successo al dojo è inoltre importante per permettere, con l'allenamento comune, la crescita del gruppo.

Sembra semplice e scontato, tuttavia non lo è.

L'agonista di successo è soggetto maggiormente al più grande difetto che un judoka possa avere: l'egoismo. Capita che egli pensi solo a sé, al proprio obiettivo e dimentichi il gruppo nel quale è cresciuto per seguire una sua strada che non costituisce necessariamente un modello.

Che fare allora ?

Tollerare i "capricci" dell'agonista o scontrarsi con il medesimo ricordandogli che Jigoro Kano insegnava che il miglioramente del singolo ha un senso solo se contribuisce al bene comune ?

Non ho la ricetta, ma l'esperienza mi ha insegnato che prima si interviene per chiarire i rapporti e meglio è. Un cattivo esempio non è mai costruttivo.


INTERVISTA a Francesca Vismara nata Caverzasio

Francesca Vismara, nata Caverzasio, è stata una delle migliori judoka del Cantone, ha fatto parte della nazionale svizzera ed è stata titolare del Judo Team Ticino che nel 2001 ha vinto il campionato svizzero a squadre.

3° dan, mamma, da qualche anno non riesce più a praticare la disciplina; con il cuore è però rimasta legata al judo che come dichiara nell'intervista gli è rimasto dentro.

 

Come hai iniziato a praticare il judo?

 

Ho iniziato a praticare judo per puro caso. Mio fratello aveva problemi a gestire l’aggressività così il pediatra gli consigliò la pratica del judo. I miei genitori lo portarono a fare una lezione di prova in palestra di via al Chioso (ndr a Lugano) e io lo accompagnai. Quando vide che si doveva salire in materassina a piedi nudi non volle neppure provare, così provai io al suo posto. Fu amore a prima vista, avevo 8 anni.

 

Chi sono stati gli insegnanti che ti hanno aiutato a crescere judoisticamente?

 

Nella mia carriera judoistica ho avuto molti insegnanti, tutti mi hanno insegnato qualcosa e sono stati importanti. Sicuramente il mio primo maestro Claudio Facchinetti che ha saputo trasmettermi l’amore e la passione per questo sport. Poi nel 1997 grazie a Mariuccia Brunner è stata formata la squadra femminile del Judo Team Ticino allenata dal maestro Valter Scolari. Proprio quest’ultimo è stato l’insegnante che mi ha permesso di crescere judoisticamente portandomi a fare delle competizoni di alto livello.

 

Quale il ricordo più significativo della tua carriera agonistica?

 

Sicuramente il ricordo più significativo è stato il titolo di campionessa svizzera proprio con la squadra femminile del Judo Team Ticino nel 2001. Dopo molto lavoro e duri allenamenti riuscimmo ad ottenere quel titolo che per la prima volta una squadra femminile portò in Ticino. Fu una grande emozione. Poi ricordo diversi podi ai campionati svizzeri individuali e la partecipazione con la nazionale a tutti i tornei più importanti a livello europeo (Parigi, Belgio, Praga, Monaco, Roma). Proprio a Parigi il mio 7° posto fu il miglior risultato del team nazionale svizzero. Sicuramente il mio breve ma intenso stage a Tokyo con 2 giorni di durissimi allenamenti nel tempio del judo Il Kodokan. Un’esperienza che mi porterò sempre nel cuore. Sono stati tutti momenti che mi hanno fatto crescere judoisticamente e umanamente.

 

Cosa ti ha dato il judo in generale?

 

Il judo ha avuto un ruolo importante nella mia vita per più di 30 anni, prima come atleta poi come insegnante. Mi ha dato molto sia come soddisfazioni agonistiche che come crescita personale. Mi ha insegnato a non mollare mai davanti alle difficoltà e a rialzarmi dopo le delusioni. Judo è scuola di vita, insegna il rispetto, la sincerità e il controllo di sé. Essendo uno sport individuale e avendolo svolto a livello agonistico mi ha insegnato a stare di fronte all’avversario con coraggio e umiltà, due delle qualità essenziali per diventare un buon judoista. Il judo mi accompagna sempre nel percorso della vita, attingo spesso agli insegnamenti che mi ha dato davanti alle difficoltà. Insomma se non avessi praticato judo non sarei quella che sono.

 

Quale è attualmente il rapporto con il judo?

 

Con l’arrivo del mio primo figlio 18 anni fa ho abbandonato definitivamente l’attività agonistica per continuare ad insegnare ai ragazzi. Con l’arrivo della mia seconda bimba ho dovuto rinunciare anche all’insegnamento per ovvi motivi di organizzazione e gestione della vita famigliare. Sono anche dell’idea che un buon insegnante deve poter praticare lui stesso regolarmente judo per trasmettere tecniche sempre all’avanguardia e sensazioni che solo praticandolo hai. Non passa giorno però che in un modo o nell’altro ripenso o attingo ad insegnamenti che questa meravigliosa disciplina mi ha dato.

La formazione del Judo Team Ticino che nel 2001 vinse il campionato svizzero a squadre con il coach Valter Scolari. Francesca Vismara era la titolare della categoria -52 kg.


SIATE MARE: i principi delle difese

 

Tanto tempo fa nel magico e misterioso Giappone dei samurai c’erano una volta tre compagni di avventure. Erano un robusto toro, un rapido gatto e un’agile scimmia. I tre viaggiavano senza sosta attraverso le lande del paese. Erano curiosi e volevano apprendere ogni cosa.

Un giorno, mentre percorrevano le bianche sabbie della spiaggia di Okinawa, s’imbatterono in un gruppo di maleducati e feroci gabbiani, i quali presero ad attaccarli senza un valido motivo. I tre non riuscirono a difendersi e dopo diverse beccate caddero a terra sconfitti e abbattuti. I gabbiani li derubarono andandosene a svolazzare altrove, lasciando il trio sulla sabbia.

Proprio in quel momento un’anziana tartaruga marina comparve dalla spuma del mare. «Perbacco, certo che le avete buscate oggi! Dovete imparare a difendervi, non potete vagabondare a cuor leggero: il mondo è un luogo magnifico, ma pericoloso!» disse loro l’anziana tartaruga. A rispondere fu la scimmia: «Ma non vogliamo fare a botte, siamo viaggiatori e vogliamo esplorare il Giappone senza causare problemi a nessuno!» «Non dovete fare a botte, ma nemmeno dovete prenderle! Essere buoni non significa essere tonti! Guardate il mare!» disse la tartaruga indicando le onde azzurre dell’oceano. «Il mare è buono: ci dà da mangiare ed è bello da vedere, eppure può diventare tempesta e indiavolarsi facendo un gran baccano di fulmini e burrasche. Siate come il mare: placidi, ma anche tempesta!»

Detto questo, la tartaruga colse l’occasione della risacca per ritornare lesta nell’abbraccio dell’acqua. I tre amici la fissarono inabissarsi, dopodiché si guardarono dritti negli occhi. «Essere come il mare? Perché, com’è il mare?» domandò il toro alquanto confuso. «Pieno di pesci da mangiare?» rispose il gatto, il quale aveva la lingua lunga e poca voglia di stare a pensare. Fu la scimmia a parlare: «Il mare è molte cose: è forte e resistente, sorregge le barche e tiene le creature marine strette nel suo immenso abbraccio!» «Anch’io sono resistente e forte!» muggì il toro con energia. «Il mare è veloce, è un’infinita rete di correnti che si spostano in continuazione! Onde che saltano e che poi si rituffano nel blu!» «Anch’io sono veloce!» miagolò il gatto con entusiasmo. «Infine, il mare è intelligente: crea vita, la custodisce e la protegge sfruttando qualsiasi circostanza.» «Scimmia, tu sei intelligente!» dissero in coro il toro e il gatto. «È deciso quindi, la prossima volta che verremo attaccati saremo come il mare! Ognuno di noi ha i suoi talenti, vedremo di utilizzarli!»

Così decisero di accamparsi sulla spiaggia. La scimmia sapeva che i gabbiani sarebbero ritornati, era decisa a dimostrare loro che la situazione era cambiata. E i gabbiani tornarono e, gracchianti e maleducati, attaccarono nuovamente. Solo che questa volta i loro becchi vennero bloccati dai muscoli del toro e schivati dalla leggerezza del gatto. Allora si fiondarono sulla scimmia, la quale sembrava per essere colpita, tuttavia, approfittava delle loro beccate per spostarsi con agilità sorprendente. I gabbiani incapaci di colpirli, se la diedero a gambe.

E così, su quella spiaggia, nacquero i principi delle tre difese: go, chowa e yawara.

 

I principi delle difese nel judo sono tre: go (bloccare), chowa (evitare) e yawara (cedere). Le difese vanno studiate insieme alla tecniche perché solo una difesa corretta permetterà di contrattaccare. I tre protagonisti del racconto inedito di Mattia Frigerio le incarnano: il toro (e la sua forza), il gatto (e la sua agilità), la scimmia (e la sua intelligenza).  


IL CODICE MORALE DEL JUDOKA: la modestia

 

La virtù a cui facciamo riferimento in questo articolo è la modestia, in giapponese “noun”.

 

La modestia viene normalmente definita come “il non vantarsi dei propri risultati”, “il parlare di sé senza orgoglio evitando di mettersi in mostra”, “il riconoscere i propri limiti”.

Una persona modesta è pertanto un individuo che vive con consapevolezza la realtà e non sopravvaluta le proprie capacità fingendo di essere qualcun altro.

 

Questo atteggiamento è purtroppo mal visto dalla nostra società moderna dove è spesso più importante apparire che essere ed è meglio fingersi sempre sicuri di sé rispetto a riconoscere le proprie debolezze e fragilità così come i propri reali punti di forza.

 

La modestia è una virtù che dovrebbe essere coltivata e tramandata all’interno della nostra società poiché solo attraverso la sua pratica è possibile premiare e far emergere l’intera collettività. Ognuno ha un suo piccolo o grande contributo da fornire ed ha il suo ruolo all’interno della collettività. Non riconoscendo i propri limiti e volendo “allargare” senza averne le capacità il proprio contributo individuale si provoca solo danni all’armonia e all’equilibrio del gruppo.

 

Durante un allenamento di judo si è continuamente confrontati con la fatica, con sé stessi, con i compagni ed è facile raggiungere i propri limiti. È importante aiutare i nostri allievi a riconoscerli, ad accettarli e se è possibile superarli nel modo corretto, ossia con l’impegno, il lavoro e nel rispetto dei propri compagni e del loro ritmo.

Durante un allenamento il judoka che ha compreso lo spirito del judo lavora con tutti poiché sa che con tutti può imparare e a tutti può trasmettere il suo sapere.

 

Idalys Ortiz, judoka cubana quattro vole sul podio alle olimpiadi e plurimedagliata ai mondiali, ha espresso molto bene questo concetto:

"Il judo rende le persone migliori. Ci insegna, nel profondo delle vene, ad essere rispettosi, cortesi e modesti. Non ho mai avuto l'opportunità di allenarmi con un campione olimpico o mondiale. Mi piace condividere questa esperienza con i bambini. Per me tutti sono uguali, ecco perché penso che dobbiamo stare con loro, così se qualcuno ha dei dubbi, noi siamo lì per parlarci, con tutto l'amore del mondo".

Coralie Hayme, campionessa del mondo junior ai recenti mondiali di Olbia ottiene il punto decisivo per la Francia, nella competizione a squadre, opposta alla russa Alana Alborova. Nessuna inutile esaltazione a fine incontro. Quanta differenza rispetto ad altri sport ...


I KATA DEL KODOKAN

Kata significa forma.

Nel judo si conoscono dieci kata originati dal Kodokan ed ulteriori kata frutto dell'iniziativa di altri autorevoli maestri.

Un kata intende esprimere un principio e propone una serie di tecniche destinate a manifestarlo, da eseguire con la massima concentrazione, precisione ed energia.

Lo studio serio dei kata porta a migliorare la propria capacità di concentrazione, di respirazione e di controllo di sé. Un peccato quindi non trovare il tempo per approfondimenti in questa direzione. Chi non conosce i kata rimarrà sempre un judoka "limitato".

 

Jigoro Kano ha proposto otto kata.

Oltre ai tre kata di base - nage-no-kata (forme di proiezione), katame-no-kata (forme dei controlli) e kime-no-kata (forme della decisione) - che sono stati unificati alla Conferenza di Kyoto del 1906 (vedi TDJ nr.11), il Fondatore ha infatti creato quattro kata originali: il ju-no-kata (forme della cedevolezza), il go-no-kata (forme della forza), l' itsutsu-no-kata (forme dei cinque principi) e il Seiryoku-zen’yo-kokumin-taiiku (educazione fisica nazionale basata sul principio della massima efficienza), inoltre ha ripreso - dalla scuola di ju-jutsu di Kyto - il koshiki-no-kata (forme delle cose antiche).

Dopo la sua scomparsa il Kodokan ha creato due kata. Negli anni quaranta, lo Joshi-goshinho (forme di difesa per le donne) e negli anni cinquanta il Kodokan-goshin-jutsu.

Oggi vengono di fatto praticati sette kata.

Il go-no-kata, lo Joshi-goshinho e il Seiryoku-zen’yo-kokumin-taiiku non essendo richiesti  per gli esami dan, sono quasi sconosciuti alle nostre latitudini.

 

Paradossalmente il primo kata originale creato dal Fondatore è il go-no-kata, il quale combina l’uso della forza con il principio della cedevolezza; agli albori del Kodokan era anche chiamato goju-no-kata per sottolineare l'interazione dei due elementi fondamentali nella pratica del judo. Jigoro Kano cita questo kata nei propri scritti indicando come lo stesso sia caratterizzato dalla “contrapposizione di due forze di spinta o trazione” e dall’“adeguarsi alla forza altrui per prevalere sull’avversario”.

Il go-no-kata originale non va confuso con altri esercizi creati con il medesimo nome da pur validi maestri; esiste ad esempio un kata chiamato “go-no-kata” che prevede l’applicazione di atemi. De Cree / Jones (Archives of Budo 2009 / vol.5) hanno ricostruito le informazioni documentali disponibili sul kata originale auspicando una sua ripresa. Memoria storica del go-no-kata era, stando a tale ricerca, Yoshiyuki Kuhara (1906/1985 – 9° dan), istruttore al Kodokan. Un suo allievo Toshiyasu Ochiai ha lasciato un libretto di istruzioni sul go-no-kata (documento privato del 1998); sulla base del medesimo è stato pubblicato nel 2007 in Germania un libro che lo presenta.

Il go-no-kata si compone di dieci tecniche da eseguire a partire da situazioni di contrapposizione di forze. La seconda tecnica (ushiro-goshi) inizia con tori e uke che si afferrano con la mano destra. La foto è tratta dal libro JUDO: una visione globale, tori è in judogi bianco e uke in judogi blu per una migliore comprensione.

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