Nr.88 / 15 marzo 2025

TICINO DOJO JOHO

Notizie e approfondimenti sul JUDO, a cura dell’ATJB


 

Questo numero contiene una riflessione della first lady del DYK, un commento sul Grand Slam di Tashkent, un pensiero sull'importanza di riflettere per proprio conto, il quarto capitolo de "Il Racconto di Maruyama",  le rubriche Le speranze del judo ticinese e I protagonisti della storia.

 

CAMPIONATI TICINESI INDIVIDUALI

domenica 30 marzo 2025 alle palestre comunali di via Soave a Chiasso

Novità: per la categoria junior/senior è prevista la suddivisione per cinture (fino a cintura verde e dalla cintura blu). Un'occasione per permettere anche a chi ha iniziato "tardi" la pratica di effettuare un'esperienza agonistica.


Organizza il DYK Chiasso in collaborazione con l'ATJB.

Informazioni e iscrizioni (cognome, nome, anno di nascita, categoria di peso, numero budopass) a mbfrigerio@bluewin.ch.


Si ricorda che per partecipare bisogna essere tesserati alla Federazione Svizzera Judo !


Indice di TDJ nr.88:

  1. Judo: integrazione e rispetto - Brunella Frigerio
  2. Il Grand Slam di Tashkent - Marco Frigerio
  3. Imparare a riflettere per proprio conto - Marco Frigerio
  4. Le speranze del judo ticinese: Jacopo Tettamanti
  5. Il Racconto di Maruyama - Marco Frigerio
  6. I protagonisti della storia - Marco Frigerio
  7. Notizie in breve - Marco Frigerio

 

 

 


JUDO: INTEGRAZIONE E RISPETTO

Settimane fa, ero sulla porta del nostro dojo (DYK Chiasso) al termine della lezione dei piccoli, bimbi di 6 e 7 anni.

Non ho potuto non notare come, davanti a me, sia sfilato il mondo: ticinesi, italiani, ucraini, siriani, eritrei, un islandese, coreani…

Bambini di ogni etnia, sorridenti e felici.

Mi sono detta: è mai possibile?

Certo che lo è!!!!

 

Se ai più piccoli viene insegnato a stare insieme senza barriere linguistiche, senza guardare il colore della pelle, la forma degli occhi, il proprio credo, tutto quello che non è uguale viene accettato come un fatto naturale.

Il judo questo vuole insegnare:

  • stare tutti insieme in materassina, in judogi bianco senza scritte o distinzioni
  • esprimere il rispetto verso l’insegnante e l'ambiente, grazie al saluto iniziale
  • ringraziare i compagni per la collaborazione, inchinandosi reciprocamente ad ogni esercizio
  • salutare e ringraziare a fine lezione per quanto appreso.

Penso che questi gesti, naturali per chi frequenta un dojo, possano diventare parte di chi pratica e che l'insegnamento acquisito durerà per tutta la vita.

Il rispetto è dovuto in ogni circostanza, indipendentemente dalle difficoltà del proprio cammino.

Chi ha rispetto riceve rispetto.

Chi ha rispetto dà, di sé, l'immagine di persona utile e sana.

È stato bello riscontrare, dopo tanti anni, la persistenza del messaggio educativo che il judo intende trasmettere.

 

E poi ci sono loro, quelli che noi chiamiamo “i grandi della terra”, che anche indossando una cintura cromatica, non hanno ancora, purtroppo, capito niente !


IL GRAND SLAM DI TASHKENT

Si è combattuto nel fine settimana del 28 febbraio / 2 marzo il Grand Slam di Tashkent, terzo torneo del Tour IJF 2025.

23 le nazioni presenti per 242 combattenti.

Nessuno svizzero.

 

In primo piano i combattenti russi, che ancora combattono sotto bandiera IJF.

Sei vittorie su sette categorie maschili; tra questi il campione del mondo juniores Denis Batchaev. Due i judoka giapponesi presenti al torneo, sul secondo gradino del podio si è classificato Kawabata a -90 kg dopo una finale al cardiopalma con l'uzbeko Sharipov trascinato dal tifo del proprio pubblico.

Al contrario, nelle categorie femminili, cinque vittorie per le giapponesi (che nei -48 e -57 ottengono anche il secondo posto) e due per le judoka cinesi (-78 e +78). Tra le giapponesi era presente anche Shori Hamada, trentaquattrenne fermata al primo turno dalla brasiliana Gimenes per tre sanzioni. Che sia stata l'ultima apparizione internazionale di colei che ha vinto i giochi a Tokyo nel 2021 ed anche un campionato del mondo nel 2018 ?

 

  

I vincitori:

-60 A. Bliev RUS

-66 R. Abdulaev RUS

-73 K. Galstian RUS

-81 T. Arbuzov RUS

-90 S. Sharipov UZB

-100 M. Kanokovskiy RUS

+100 D. Batchaev RUS

 

-48 K. Miyaki JPN

-52 N. Tsubone JPN

-57 A. Omori JPN

-63 K. Yamaguchi JPN

-70 R. Maeda JPN

-78 Z. Ma CHN

+78 X. Niu CHN


IMPARARE A RIFLETTERE PER PROPRIO CONTO

 

Il judo vuole insegnare a riflettere per proprio conto.

Dopo una prima fase di apprendimento della disciplina, proposta dai club di appartenenza, dalla quale è indispensabile passare. È il singolo a doversi assumere le proprie responsabilità identificando i propri obiettivi.

C'é chi dopo averli identificati preferisce rompere i legami con il passato (e cambiare club di appartenenza). C'é chi invece li mantiene sentendosi comunque parte del dojo in cui è cresciuto, coinvolto nel restituire quanto ricevuto.

 

Nell'ultimo numero di L'esprit du judo, rivista francese sul judo, è pubblicata una intervista a Kaori Yamaguchi, prima donna campionessa del mondo giapponese (1984).

La Signora del judo, mia coetanea, sostiene che a diciotto anni, giunta all'università Tsukuba, il suo mondo venne stravolto. Da una fase (liceo) in cui tutto era organizzato da altri, si era aperto un nuovo periodo in cui toccava a lei definire la strada da percorrere. Si era agli albori del judo agonistico femminile e lei fu la prima che, a Tsukuba, si allenava con gli uomini.

Oggi ritiene che è una eccellente cosa poter definire quelli che sono gli obiettivi della propria vita.

Jigoro Kano aprii il Kodokan a ventidue anni.

Chi scrive (nel suo piccolo) è stato presidente cantonale a venticinque anni per quindici anni.

Yamaguchi ricorda, nell'intervista rilasciata, un judoka che ad ogni allenamento veniva proiettato dai compagni. All'epoca si era domandata per quale motivo un soggetto di tale genere continuasse la pratica.

Ad un certo momento ha capito: a questo judoka non interessava minimamente divenire un campione aveva semplicemente piacere a praticare judo.

Ne conclude che il piacere della pratica deve essere superiore alla ricerca dei risultati.

I valori sono più importanti delle medaglie e, certamente, non è necessario allenarsi tutti i giorni.

L'ha scritto Yamaguchi nell'intervista.

Chi si allena male, senza avere un riferimento e un porto in cui riparare (il proprio club), non progredisce e, prima o poi, facilmente smette di praticare.


LE SPERANZE DEL JUDO TICINESE

 

Abbiamo iniziato una nuova rubrica destinata a dare voce alle giovani speranze del judo ticinese. Non importa se agonisti o se praticanti di palestra.

Chi non ha ancora compiuto i 18 anni è invitato ad esprimere il suo pensiero sul judo, sulle proprie esperienze e su quanto ha appreso ed apprende praticando la disciplina.

Un grazie a Jacopo Tettamanti (classe 2011 - cintura blu del DYK Chiasso) per il suo contributo.

 

Mi chiamo Jacopo Tettamanti e ho 13 anni, faccio judo da quando ne ho 7.
Oggi non potrei più farne a meno, ogni allenamento e ogni competizione ho la possibilità di migliorarmi come judoka e come persona. Ogni volta che salgo sul tatami mi sento a casa, con l’unica differenza che un’energia incredibile mi avvolge e mi dà la carica per fare sempre meglio.
Il judo mi ha aiutato molto a migliorare la concentrazione e la fiducia in me stesso che nella mia infanzia erano quasi assenti, la mancanza di questi aspetti, soprattutto in ambito scolastico, stava diventando un problema; l’aiuto che mi ha dato questo sport è stato enorme.
La cosa che preferisco del judo (dopo le proiezioni) è il rispetto e la disciplina che sono fondamentali per eccellere in questo sport e nella vita.
Ringrazio molto il mio club di appartenenza (Do Yu Kai Chiasso) che ha dato e continua a dare a me e ai miei compagni numerose opportunità per fare nuove esperienze, incontrare campioni e migliorarci.


IL RACCONTO DI MARUYAMA: capitolo 4

 

Riprendiamo il racconto” disse Maruyama a Hifumi che invero non vedeva l’ora.

Scoprire che il suo maestro discendeva da un collaboratore diretto di Kano lo aveva entusiasmato. L’esercizio, ritenuto inizialmente “un poco spocchioso”, di lasciare dei ricordi personali da tramandare, aveva a questo punto assunto un’importanza vera.

La testimonianza diretta di un collaboratore è spesso determinante per comprendere il pensiero originale.

Scrivi” ordinò Maruyama.

 

2.

Un episodio che mio padre Hiroshi era solito ripetere, era relativo al suo primo incontro con Jigoro Kano.

All’epoca aveva dieci anni ed abitava a Miyazu nel palazzo dei genitori con due sorelle più piccole.

Una sera d’autunno il padre Joshiro Maruyama lo convocò alla presenza degli adulti che, nella sala grande, stavano cenando.

Un signore sulla cinquantina, mai visto prima, sedeva sui tatami in tenuta occidentale: completo grigio, panciotto, camicia e cravatta. Aveva un aspetto serio e lo sguardo profondo, un paio di occhiali sopra baffi spioventi.

Joshiro aveva chiamato Hiroshi per presentarlo a Jigoro Kano, l’ospite della serata.

Kano lo aveva squadrato senza dimostrare un particolare interesse. Forse per cortesia lo aveva però interpellato domandando quale scuola frequentasse e quali fossero i suoi interessi.

Hiroshi, impaurito di fronte all’estraneo, non era riuscito a spiccicare parola.

Joshiro era quindi intervenuto indicando che il figlio era prossimo a terminare le scuole primarie e che, essendo uno dei migliori studenti a Miyazu, avrebbe avuto piacere di trasferirsi a Tokyo per frequentare le migliori scuole del paese. In cuor suo Joshiro sperava che Kano potesse ospitarlo nella propria scuola privata preparandolo così per le scuole superiori. Kano aveva compreso le aspirazioni del padre di Hiroshi, tuttavia, voleva capire quali fossero le reali aspirazioni del giovane. Aveva quindi insistito con Hiroshi, che infine era riuscito a rispondere indicando, a chi lo interpellava, che il suo sogno era divenire un giudice.

Kano, sorpreso, aveva risposto ricordando che ognuno nella vita deve trovare il proprio ruolo realizzandosi, compatibilmente con le proprie predisposizioni e le capacità che riesce ad acquisire. “Segui i tuoi sogni, fai il possibile per realizzarli, tieni però conto che non sempre i sogni si realizzano e che, a volte, è necessario prenderne atto e dirigersi verso un altro obiettivo, senza per questo recriminare”.

La cena fu un successo grazie anche al servizio perfettamente diretto dalla governante della casa, Okiko, la cui famiglia era da tempo immemorabile al servizio del Clan Maruyama.

In fine serata Kano accondiscese ad accogliere Hiroshi a Tokyo.

Fu così che mio padre, all’età di dodici anni lasciò definitivamente la famiglia e si trasferì nella capitale.

Alla Kano Juku[1] trascorse i successivi cinque anni.

 

Terminato di scrivere Hifumi si rivolse a Maruyama.

“Posso chiederle come mai Kano era stato invitato a cena a casa di suo nonno?”

“Mio nonno, Joshiro Maruyama, era un personaggio importante nella regione di Miyazu, aveva contatti e influenza politica che arrivano sino a Kyoto. Gli antenati di mio nonno erano stati figure di riferimento della comunità incaricate di risolvere le liti tra privati; da qui forse il sogno di mio padre di divenire un giudice.[2]

Mio nonno conosceva Kano in quanto aveva frequentato la Dai Nippon Butokukai prendendo parte alla conferenza del 1906, allorquando vennero definiti i primi tre kata denominati a torto i kata inferiori.[3]

D’altro canto, Kano era solito visitare le scuole che rientravano sotto la sua competenza professionale, per cui è possibile che l’occasione fosse stata data da una visita nella regione settentrionale della Prefettura di Kyoto.”

Hifumi ricordava bene che Kano non aveva mai tratto benefici e guadagni dal judo, che impropriamente poteva essere considerato il suo “hobby”. La professione del Fondatore era infatti quella di educatore.[4] Il judo era il mezzo per andare oltre e contribuire alla formazione di persone fisicamente forti, moralmente sani e socialmente utili. Più volte aveva sentito Takero Maruyama fare riferimento ai principi ed al senso della disciplina.

Ricordava anche che la Dai Nippon Butokukai, chiusa definitivamente a seguito della occupazione americana del dopo guerra, era la scuola ministeriale delle arti marziali con sede a Kyoto: una struttura parallela al Kodokan, nella quale vennero formati molti personaggi storici del judo e di altre arti marziali. La conferenza del 1906 aveva riunito gli insegnanti più noti delle scuole di ju-jutsu dell’epoca, alfine di definire dei programmi comuni, in particolare i tre kata inferiori. Jigoro Kano aveva diretto i lavori, tuttavia, vi erano stati interventi di altri maestri che avevano portato a ritoccare le proposte iniziali formulate dal Kodokan.

“Joshiro Maruyama era una personalità della scuola di Kito, che aveva frequentato sin dalla gioventù. Alla conferenza di Kyoto intervenne alfine di ampliare il kime-no-kata. In quel frangente discusse con Kano e gli altri maestri riuscendo a far rivedere la proposta originaria. Le tecniche del kime-no-kata vennero aumentate da 15 a 20” aggiunse Takero interrompendo le riflessioni di Hifumi.

“Si è fatto tardi, continueremo alla prossima occasione. Ti ringrazio per la tua attenzione e per l’interesse che stai dimostrando per il racconto. Sentirai che vita incredibile ha avuto mio padre.”

 

 

“Solo con il randori è difficile imparare la tecnica … chi è attirato dalla tematica espressiva, dalla manifestazione di sentimenti e pensieri, oppure dal fluire della natura, solo nel kata troverà la possibilità di esprimersi attraverso i movimenti degli arti e del corpo.”[5]



[1] La Kano Juku fu attiva dal 1882 al 1919. Era una scuola privata che intendeva assistere gli studenti. Kano era il proprietario e il primo responsabile, poteva tuttavia contare su diversi collaboratori in buona parte insegnanti di judo.

[2] Sotto il regime dello Shogunato Tokugawa (1603-1868) in Giappone non veniva incoraggiato il ricorso alle corti di giustizia, si preferiva che la gente comune risolvesse le proprie questioni rivolgendosi a figure di riferimento locali. La professione di avvocato era ritenuta addirittura immorale.

[3] Nage-no-kata (forme delle proiezioni), katame-no-kata (forme di controllo) e kime-no-kata (forme della decisione).

[4] Jigoro Kano aveva studiato i sistemi educativi europei durante il suo primo viaggio all’estero (settembre 1889/gennaio 1891), era poi divenuto consigliere del Ministero della cultura e successivamente rettore della scuola magistrale di formazione degli insegnanti a Tokyo (“Koto-Shihan-Gakko”)

[5] Kano, Funzione del randori e del kata, Judo (dicembre 1934).


I PROTAGONISTI DELLA STORIA: Tokio Hirano (1922/1983)

Tokio Hirano era nato il 6 agosto del 1922 vicino a Kobe nella Prefettura di Hyogo.

Si narra che ottenne la cintura nera dopo avere vinto 22 incontri per ippon grazie ad un fantastico osoto-gari. Sarà 5° dan a 19 anni.

Nel 1941 arriva a frequentare la Takushoku University a Tokyo, caratterizzata da influenze militari e dove il motto dell’insegnante era “attacca fino a che il tuo cuore smette di battere”.

Nel corso della tradizionale sfida dei bianchi e rossi (Kohaku-shiai) di quel anno riesce a sconfiggere 14 avversari pareggiando con il quindicesimo (un record assoluto per il tipo di competizione). Nel 1941 e nel 1942 vince gli “All Japan Collegiate Judo Championship”; nella finale del 1941 sconfigge in finale Yasuichi Matsumoto (al quale concedeva quindici chili).

Nel 1947 vince la terza edizione del “National Athletic Judo Championship” sconfiggendo nelle qualificazioni Yoshimatsu e in finale Hadori.

Nel 1952 Hirano arriva in Europa dove rimarrà 13 anni insegnando principalmente in Belgio mostrando creatività, perfezione tecnica e velocità insospettata. Venne soprannominato “il miracolo del judo”.

Accompagnava i suoi ippon con damashi e renraku che sorprendevano l’avversario, praticando con eleganza ed umorismo. Sua la frase “the next, please” riferita agli avversari. Suo allievo fu Willem Ruska. In Europa Hirano fu protagonista di numerosi combattimenti in particolare contro lottatori; nota è la sua sfida con l’olandese Peter Artz (pluricampione d’Europa di wresling) che, dopo sei minuti, proiettò in koshi-guruma immobilizzandolo.

Nel 1966 rientra in Giappone dove continuerà a insegnare praticando sino alla morte sopravvenuta per cancro il 26 luglio 1993. Ha lasciato due libri sul judo, in lingua giapponese, nei quali narra dei suoi numerosi incredibili incontri. Al termine della sua carriera sarà 8°dan.

 

 

Judoka giapponese che ha vissuto in Europa per 13 anni.

Grande combattente in gioventù ha sempre espresso un bel judo caratterizzato da damashi e renraku.

È stato insegnante del doppio campione olimpico olandese Ruska.


NOTIZIE IN BREVE

Sabato 1 marzo una pattuglia ticinese di U15 si è recata a Grenchen per il randori day.

Partenza alle 06.20 rientro alle 19.00 per tre ore di judo dirette da Bruno Tsafak l'attuale responsabile nazionale.

Un sentito bravo a chi ha partecipato, anche se per praticare randori di un certo livello non è indispensabile recarsi oltre Gottardo. Guardiamoci intorno, occasioni di scambio e di allenamento, non così lontane, ve ne sono diverse.

Certo, chi vuole fare parte dei quadri nazionali vivendo in Ticino, deve farsi conoscere. Non tutti però hanno questa ambizione.

 

 

Poca gloria per i cinque svizzeri che hanno combattuto al Gran Prix Upper Austria nel fine settimana del 8-9 marzo.

Tre finali per il terzo posto ed altrettante le sconfitte.

Gioia Vetterli, subisce yuko al golden score dalla slovena Schuster, April Fohouo viene immobilizzata dalla giapponese diciasettenne Takahashi (-70 kg), Aurelien Bonferroni viene immobilizzato dal giapponese Izawa (-81 kg).

Eliminati al primo turno invece David Gauch (-60 kg) e Binta Ndiaye (-57 kg).

Da segnalare per l'Italia le vittorie a -73 kg e a -81 kg dei fratelli napoletani Giovanni e Antonio Esposito.

Leggi le edizioni precedenti di Ticino Dojo Joho

 

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