“Sono stati festeggiamenti allegri. Shinnosuke e Kaori erano visibilmente emozionati ed entusiasti per l’inizio della loro vita comune; d’altronde sono undici anni che si frequentano. Ho avuto modo di visitare la casa di Kumamoto in cui abitano, mi ha colpito il giovane ciliegio posato nel giardino come segno di ben augurio futuro. Credo che la coppia avrà modo di trovare il proprio equilibrio, rimanendo a rimirarlo nella sua crescita negli anni a venire riposando sulle sedie a dondolo della splendida veranda. Un luogo di pace e meditazione interno alla propria casa decisamente opportuno.”
Takero Maruyama ascoltava Hifumi che lo relazionava in merito alla visita a Kumamoto che aveva effettuato per suo conto. “Mi fa piacere. È chiaro che il giorno del matrimonio è un momento unico, non ho avuto occasione di verificarlo personalmente ma immagino sia un punto di svolta decisivo: da individuo singolo si passa alla coppia. Anche il modo di pensare si dovrebbe trasformare. Shinnosuke è sempre stato un ragazzo serio e profondo non ho dubbi che farà quanto necessario per fare in modo che tutto funzioni. Conosco poco Kaori, ho però sempre avuto l’impressione che sia in perfetta sintonia con le aspirazioni di vita di Shinnosuke.”
“Anche io conosco poco Kaori” replicò Hifumi. “Mi ha però sempre colpito per la sua determinazione e la “joie de vivre” che riesce ad esprimere in tutto ciò che fa. Sono certo che, nel giro di poco tempo, sentiremo parlare di bimbi in arrivo. Saranno sicuramente degli ottimi genitori, presenti ed attenti”.
“Essere genitore è tutt’altro che semplice” riprese Maruyama. “Mio padre è divenuto genitore tardi. Troppo vecchio per comprendere che vi è altro, oltre alla trasmissione del proprio sapere. Quando penso alla mia infanzia credo che vi dovrebbe essere un limite di età per essere padre. Ogni stagione ha il suo perché. Chi le confonde pensando di essere “ever young” è fuori dalla realtà. Il rischio di creare danni collaterali è concreto. Per mia fortuna ho potuto contare sui consigli di Kumiko in gioventù.”
“A Kumamoto ho incontrato Saito, l’allenatore della nazionale” aggiunse Hifumi, dimenticandosi di chiedere al maestro chi fosse Kumiko. “Era piuttosto allegro ed ha raccontato una storiella su Shinnosuke che non conoscevo. Pare che, allorquando erano di stanza a Colonia, in attesa di partecipare ai campionati del mondo juniores di Madrid, vennero portati ad ascoltare un’opera lirica. Sembra che Shinnosuke ne rimase così impressionato che, nei giorni a seguire, continuò a canticchiare brani dell’opera. Saito l’avrebbe allora soprannominato Cio-cio san e l’avrebbe addirittura scelto quale secondo di categoria per quei mondiali, proprio per la sua particolarità. Una storia incredibile, confermata per altro dal fatto che Shinnosuke ha voluto concludere la festa di matrimonio ascoltando il coro a bocche chiuse di quell’opera: Madama Butterfly di Puccini. Personalmente l’ho trovato un brano originale e interessante, anche se distante parecchio dalla nostra tradizione.”
“Non mi sorprende” concluse Maruyama “Shinnosuke è sempre stato un ragazzo speciale, continuamente alla ricerca di stimoli positivi. Non conosco quel genere di musica. Non sono mai stato in Europa. Sono convinto però che la buona musica possa essere un’ottima compagna di vita. Buona è la musica che trasmette sensazioni positive e pacifiste; fatico quindi a seguire certe forme moderne di suoni irrazionali e gli inni propagandistici.”
Hifumi non vi aveva fatto caso ma, anche quel giorno, il maestro Maruyama appariva in difficoltà. Il suo sguardo era sofferente e il colorito anomalo. Nessuno però sembrava essersi reso conto che vi era qualche cosa che non andava, tutte le attività al dojo proseguivano come se nulla fosse.
Maruyama invece ne era consapevole, aveva compreso che il suo inverno era iniziato anzitempo e, stante i segnali che il suo corpo trasmetteva, si era convinto che sarebbe stata una breve stagione.
Aveva quindi risolto di raccogliere la storia della sua famiglia in una sorta di densho[1] destinato a chi avrebbe dovuto succedergli nella direzione della scuola e così di seguito.
“Ancora una cosa Hifumi” aggiunse pertanto, prima di lasciare il dojo e dirigersi verso casa, “avrei piacere di raccogliere la storia di mio padre e le mie esperienze di vita in uno scritto. Necessito però della tua collaborazione. Ho riflettuto parecchio, in queste ultime settimane, e ho pensato che, superati i cinquantacinque anni, è tempo di tirare le somme. Dovresti però aiutarmi. Come avrai notato non sono in perfetta salute ed ho qualche difficoltà a concentrarmi nella scrittura. Se fossi disponibile a fungere da segretario domani vorrei cominciare il racconto.”
“Nessun problema Maestro, conti pure su di me. Sono certo che ha molto da trasmettere; dalle esperienze del passato, tutti noi potremo solamente imparare. Ci ha sempre indicato che il judo non è solamente uno sport ma una scuola di vita, che intende trasmettere valori e principi. Indicazioni pratiche al riguardo saranno senz’altro utili a tutti coloro che vorranno perseguire la corretta promozione della disciplina.”
Maruyama apprezzò la risposta. Sapeva di poter contare su Hifumi. Non era il suo allievo preferito ma gli era fedele, lo rispettava e avrebbe fatto il possibile per venire incontro alle sue richieste. Alla mente gli tornarono le parole di Kumiko “quando sarà arrivata la fine della tua vita ricordati di chi ti è stato vicino, trova il modo di compensarlo e il tuo ricordo rimarrà nel tempo.”
E fu così che “Il Racconto di Maruyama” ebbe inizio.
“Il judo è un insieme di elementi, costituiti da un lato da uno spirito intraprendente, attivo, ardito; dall’altro dalla discrezione e dalla continenza incline alla concordia. E il suo valore, vero e grande, sta proprio nella combinazione di tali elementi, distribuiti e misurati secondo le leggi dell’armonia.”[2]
[1] I “densho” erano i libri segreti delle antiche scuole di ju-jutsu, tramandati da maestro ad allievo.
[2] Kano, L’allenamento come elemento di successo e di gratificazione nella vita, Judo (marzo 1915).